Ci scrivono…
La Riforma della Giustizia dal 26 luglio 2005 è legge dello Stato per essere stata firmata dal presidente Ciampi. Ultimo atto, seguito all’approvazione della Camera con 284 sì, 219 no e 4 astenuti, dopo tre anni di estenuanti dibattiti parlamentari e dopo il rinvio alle Camere da parte del presidente Ciampi.“Libero” nel numero del 21 luglio 2005 ne riporta i punti salienti con chiarezza e semplicità. L’indipendenza dei giudici non viene intaccata. Vengono invece introdotte regole comportamentali, di carriera e funzionali che, certamente, non fanno male alla Giustizia. Quella, per intenderci, vicina al cittadino, sempre attesa ma continuamente rimandata.
Al di là dei necessari ed opportuni aggiustamenti, la riforma appena approvata è un primo ed importante passo verso una giustizia giusta e verso processi che siano contenuti nel tempo. Ma è anche un segnale per certi magistrati che pensano di appartenere ad una casta, avulsa dal corpo vibrante del Paese.
La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art. 104 Cost, co.1) e la giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost, co. 1 e 2).
Cittadino tra i cittadini, il magistrato quindi non può godere di nessun privilegio. Anzi deve costituire per l’uomo della strada un riferimento certo, proprio per l’alta funzione che gli assegna la Costituzione. Ma se questo vale per la maggior parte dei giudici, che annoverano tra le proprie file anche veri eroi perché vittime di mani assassine, non così per una minoranza ideologizzata e temeraria nel voler condizionare il Parlamento con scioperi certamente non previsti dalla nostra Carta Costituzionale.
Non mi sembra dalla lettura dei punti salienti di Libero che vi sia un attentato all’indipendenza del giudice. Viene, però e giustamente, fatto divieto al magistrato “di iscriversi a partiti politici e di partecipare ad attività di centri politici o affaristici, che possano condizionare l’esercizio delle funzioni o appannarne l’immagine”. Cosa che avviene già per carabinieri e polizia.
La vera riforma, però, si potrà considerare completata solo quando quella minoranza di magistrati politicizzati si calerà effettivamente nel tessuto sociale di un’Italia che sta cercando con questa maggioranza, pur tra luci ed ombre, di diventare un Paese moderno. Cosa, questa, che riporterà smalto alla stessa magistratura, nella sua totalità, e stima profonda e vera da parte della “ggente”.
Avanti tutta, allora! E voglia Dio che le prossime elezioni confermino l’attuale maggioranza, depurata però di tutti quei parlamentari che per inconfessabili e patetici giochi di bassa bottega hanno creato non pochi problemi al Governo.
E questo la “ggente” lo sa e al momento giusto si ricorderà. Come pure rigetterà le inconcludenti idee di una sinistra senza programma, vogliosa solo di abbattere il Cavaliere e di ricacciare il Paese in un passato da dimenticare.